‘Elementally’ in motion

 

Primaria-mente in movimento

 

Manuela Valentini

Università degli Studi di Urbino Carlo Bo – manuela.valentini@uniurb.it

https://orcid.org/0000-0003-2655-1778

 

Paola Donatiello

IIS Marconi Pieralisi, Jesi – paoladonatiello@gmail.com

https://orcid.org/0000-0001-8401-3084

 

ABSTRACT

The new social orientation tends to isolate, within technological networks, social actors who increasingly adapt to an unnatural and myopic sedentarism. The COVID-19 pandemic has accentuated the needs of everyone, especially of children, who have been excluded from the pro-social and environmental dynamic environment. The aim of this essay is to reflect on the opportunities opened by the crisis understood as “decisive phase”, from the Greek krísis “choice, decision”. It is time to take action and ride the wave of change in order to approach new integrated educational models that can focus on the potential of motor skills, especially outdoors, related to learning, cognitive, emotional and physical improvement. The body, acted and primary learning agent, is necessarily in motion, involuntarily and ineluctably in an incessant search and discovery of Self, a Self placed in relation to the world and to the Others.

 

Il nuovo orientamento sociale tende ad isolare all’interno di reti tecnologiche gli attori sociali che sempre più si adattano ad un innaturale e miope sedentarismo. La pandemia COVID-19 non ha che accentuato bisogni e necessità di tutti, specie dei bambini, rimasti esclusi dall’intorno dinamico pro-sociale e ambientale. Con il presente articolo intendiamo porre alcune riflessioni sulle opportunità aperte dalla crisi intesa come “fase decisiva”, dal greco krísis “scelta, decisione”. È il momento di agire e cavalcare l’onda del cambiamento per avvicinarsi a nuovi modelli educativi integrati in grado di porre attenzione sulle potenzialità della motricità, specie all’aperto, legate all’apprendimento, al miglioramento cognitivo, emotivo e fisico. Il corpo, agito e agente primario d’apprendimento, è necessariamente in movimento, involontariamente e ineluttabilmente in incessante ricerca e scoperta di Sé, un Sé posto in relazione al mondo e agli Altri.

 

KEYWORDS

Outdoor education, Integrated curriculum, Motricity, COVID-19, Corporeality

Educazione all’aperto, Curricolo integrato, Motricità, COVID-19, Corporeità

 

AUTHORSHIP

L’articolo è il prodotto di un’ideazione e di una stesura comune. Ai fini dell’attribuzione: M. Valentini (Paragrafi 2 4); P. Donatiello (Paragrafi 1 e 3).

 

CONFLICTS OF INTEREST

Le Autrici dichiarano che non sussistono conflitti d’interesse.


 

1. Introduzione: il bambino al centro

 

«Cipí... cipí, voglio uscire di qui!... – gridava lui […]. Io voglio vedere... cipí, cipí... io voglio andare fuori da questo buco» (Lodi, 1972).

Apriamo con un omaggio al Maestro Mario Lodi, nel centenario della nascita, alla sua attenzione verso le singolarità dei bambini posti al centro dell’intervento educativo. Attivismo e pedagogia puerocentrica, rispetto e ascolto attivo delle inclinazioni di ogni piccolo alunno, sono tra le eredità cui dobbiamo guardare ancora oggi con stupore e meraviglia, in quanto la Scuola ha necessità urgente di tradurre le concezioni pedagogiche in reali prassi educative (Dewey, 2004; Lodi, 1977; Montessori, 1950). Il nuovo orientamento pedagogico non legge più i fanciulli come piccoli selvaggi da contenere, ma come soggetti d’apprendimento da stimolare per ricercare il loro talento.

Siamo più che mai immersi nelle fitte trame della complessità, nelle crisi prodotte da guerre e pandemia e sempre meno i bambini hanno modo di “uscire dal nido”, di abitare il mondo, di vivere il quartiere, di essere protagonisti della costruzione squisitamente culturale del sapere scolastico. La famiglia etica di un tempo cede il passo a quella affettiva, spesso “allungata” (Scaparro, 2002) e ricostituita, basata sull’affettività, dove il consenso dei figli spesso viene cercato attraverso l’amicizia; questo fa sì che non vi sia più paura dell’adulto e della punizione. Tali cambiamenti socio-culturali si traducono in processi comportamentali emotivi e cognitivi con i quali i professionisti della comunità educante devono confrontarsi anche nell’ambiente-classe, inteso come microcosmo rappresentativo delle costruzioni sociali. Eppure la scuola non si è allineata ai mutamenti prodotti nella società, soprattutto fisicamente e strutturalmente non è cambiata, mentre gli alunni, attori sociali protagonisti del Sapere, sì. Incombenze di ogni genere frenano il flusso di innovazioni didattiche, di buone pratiche sperimentali, sommersi come siamo dalle preoccupazioni e dall’incessante e martellante scorrere del tempo con le sue immancabili scadenze da rincorrere.

La Scuola non può esimersi dal cambiare considerando il fabbisogno dei bambini attraverso analisi antropologiche volte a comprendere i nessi tra necessità extrascolastiche e problematiche socio-culturali, affinché si possa ripensare lo statuto epistemologico della Pedagogia.

La prospettiva inclusiva cui siamo orientati, non assume solo le diversità individuali a oggetto di attivazione delle politiche di cura, ma deve leggere le discipline stesse in modo globale, mediante una revisione volta ad abbattere, non solo le barriere architettoniche e mentali, ma anche quelle disciplinari. La Scuola va interpretata in ottica poli-interdisciplinare, evitando di incasellare e ordinare in cartelle precostituite, segmentate in materie e programmazioni definite, impegnandosi a promuovere l’unicità di tutti i bambini, nessuno escluso, valorizzando la pluralità di differenze che ci caratterizzano mediante una visione olistica che oltrepassi i muri delle convezioni date, e si situi nella fluidità degli scambi continui che avvengono nella frontiera, intesa come luogo di incontro e negoziazione, spazio simbolico di dialogo e apertura verso l’altro.

L’attenzione pedagogica va, inoltre, orientata verso l’ambito della “cura” in quanto ci troviamo a far fronte ad importanti cambiamenti storico-culturali che inevitabilmente si traducono in adozione di stili di vita che rischiano di minare la salute psico-fisica di tutti gli attori sociali, specie dei più piccini. Sono infatti i bambini e le bambine a subire le conseguenze di dettami imposti dall’incessante urbanizzazione e tecnologizzazione, dall’incapacità degli adulti di leggere bisogni e di interpretare sguardi e silenzi. In particolare la situazione pandemica ha fatto emergere, in modo evidente, quali siano le conseguenze di uno stile di vita sedentario, privo di motricità e di giochi all’aperto. Non possiamo certamente non analizzare le derive negative prodotte dal COVID-19 in quanto a deficit educativi, deficit di natura, assenza di motricità; è necessario sottolineare come l’impatto a livello educativo abbia incrementato il divario di apprendimento tra soggetti in base al grado di benessere. Zhang e Lee (2020) sostengono che il COVID-19 abbia causato gravi problemi in termini di salute mentale, disturbo acuto da stress e disturbo da stress post-traumatico, e di salute fisica aumentando i problemi legati alla sedentarietà e all’obesità, impattando in modo particolare sui comportamenti dei soggetti in età scolare. Diversi studi condotti in USA, inoltre, hanno messo in luce come la pandemia abbia avuto effetti maggiori sulle fasce sociali in situazione economica già critica, ponendo in evidenza come siano ancora oggi le differenze “razziali” a determinare la qualità della vita (The Annie E. Casey Foundation, 2021). Nel 2017, in Nord America, i tassi di obesità tra i soggetti d’età compresa tra 6-11 anni, avevano già raggiunto il 17% secondo il Centers for Disease Control (Coyle, 2017). Secondo un’indagine svolta da U.S. Department of Health and Human Services, Health Resources and Services Administration, Maternal and Child Health Bureau, National Survey of Children’s Health, nel 2021, negli Stati Uniti la percentuale di bambini e adolescenti in sovrappeso è aumentata notevolmente. Nel 2015 Federici annotava come il sedentarismo potesse essere causa di «obesità, sindrome ipocinetica, astenia, deficit di attenzione, perdita di capacità funzionali coordinative e condizionali quali forza, velocità, resistenza» (Federici, 2015, p. 106). L’obesità, infatti, si associa a rischi di ipertensione, diabete, asma ecc. mentre l’assenza di educazione all’aperto produce una carenza di vitamina D e dunque danni per la struttura ossea, rischi di malattie cardiache, difficoltà di gestione sonno-veglia con conseguente stato di riduzione della concentrazione e aumento dei sintomi di ADHD (Cooper, 2015).

 L’attività fisica, svolta in età prescolare e scolare, pone le radici determinanti i comportamenti futuri, ha un impatto a lungo termine sulla salute e sulle abitudini quotidiane (Zhang & Lee, 2020). Le nuove linee guida dell’OMS (2020), nel contrasto alla sedentarietà amplificata dal Covid-19, sottolineano che i bambini e gli adolescenti dovrebbero praticare almeno 60 minuti al giorno di attività fisica di intensità moderata o vigorosa, per lo più aerobica integrata, almeno 3 volte a settimana, con attività aerobiche energiche, inoltre, va limitato il tempo sedentario specie se trascorso davanti a uno schermo. Le Indicazioni Nazionali (2012) esplicitano come l’attività motoria contribuisca

 

«alla formazione della personalità dell’alunno attraverso la conoscenza e la consapevolezza della propria identità corporea, nonché del continuo bisogno di movimento come cura costante della propria persona e del proprio benessere […] Le attività motorie e sportive forniscono agli alunni le occasioni per riflettere sui cambiamenti del proprio corpo, per accettarli e viverli serenamente come espressione della crescita e del processo di maturazione di ogni persona; offrono altresì occasioni per riflettere sulle valenze che l’immagine di sé assume nel confronto col gruppo dei pari» (MIUR, 2012, p. 76).

 

Identità e alterità si confrontano, si esplorano, si negoziano, permettono di porre al centro della riflessione il bambino in divenire, le riflessioni sul proprio sé, orientando un processo di insegnamento-apprendimento volto a integrare una pluralità di linguaggi mai avulsi dalla dimensione motoria. Il corpo in movimento, assume connotati di mappa identitaria, permette di porre le radici del nostro essere, radici che si configurano come terreno fertile di partenze e base sicura per ritorni: riconosciamo noi stessi mediante il movimento nello spazio che consente l’appropriazione corporea finalizzata a plasmare un’identità stabile, ma flessibile ed evolutiva.

Queste premesse ci permettono di orientare la nostra osservazione sui vissuti dei bambini e delle bambine nella società dell’Antropocene, intesa dagli antropologi Aime, Favole, Remotti, 2020, come una cultura inedita composta da un insieme di cosalità (l’essere cosa valoriale) mercificabili e reificanti, invadenti i nostri processi sociali, comunicativi, mentali e culturali, un’ipercultura globale che travolge e ruba il futuro. In quest’ottica il lockdown, ha interrotto le abitudini quotidiane, ha mostrato la nostra fragilità e impotenza di fronte alla Natura, ma allo stesso tempo si è posto come via di fuga, in quanto ricerca di una dimensione familiare vissuta con ritmi diluiti e noia ritrovata. Vogliamo, pertanto, non solo leggere le criticità drammatiche emerse, ma osservare anche le “vie di fuga” intese da Cacucci come punto «da cui partono infinite linee: basta seguirle, per scoprire altrettante realtà, dimensioni, mondi».

In tal senso la Scuola deve porsi come banco di prova per una società egualitaria, mediante la democratizzazione dell’intervento educativo in grado di abbattere le barriere che si incontrano nel sociale, offrendo possibilità autentiche di determinazione, sopperendo alle mancanze extrascolastiche che vanno ad acuire differenze e diversità in termini stigmatizzanti. La Scuola deve colmare il vuoto istituzionale, ricucire il tessuto sociale lacerato dalle discriminazioni. La Scuola stessa deve, pertanto, riscoprire il fanciullino che ha in sé, traducendosi in ambienti e prassi volte a restituire la necessità di libero movimento in spazi aperti, la possibilità di crescere in creatività sperimentando il sé nello spazio e in rapporto con gli altri; i docenti sono chiamati a fare della loro professione una passione, dunque un’opera d’arte, lavorando in modalità autotelica, mediante un flusso continuo di interconnessioni che non è mai chiusura, ma un continuo porsi domande osservando tutto con gli occhi della curiosità di chi ancora non sa e desidera scoprire e al contempo inventare nuovi scenari immaginari, nuove ipotesi fantasiose, nuovi spazi creativi.

 

2. Bi-sogni della generazione α

 

La comunità scientifica mondiale, attraverso sperimentazioni, saggi scientifici e ricerche, denuncia ormai da anni la continua riduzione, in tutta l’età evolutiva, del tempo dedicato al movimento. Interessante la ricerca condotta da Farooq et al. (2017), in cui si esplicita come i futuri sforzi a livello politico e di ricerca si debbano concentrare sulla promozione dell'attività fisica sin dall’età prescolare. Nel 2020 le WHO guidelines on physical activity and sedentary behaviour hanno fornito raccomandazioni per la salute pubblica, evidenziando la necessità di attività fisica, delineandone frequenza, intensità e durata in ogni fase dello sviluppo umano, al fine di poter osservare significativi benefici e mitigare i rischi di malattie. Le evidenze scientifiche mostrano, infatti, come una regolare attività fisica da moderata a vigorosa sia associata, oltre alla prevenzione delle malattie cardiometaboliche, ad un incremento delle funzioni intellettive e cognitive, supportando così il rendimento scolastico e la salute psichica degli alunni.

Il contributo italiano di Marra et al. (2021) riflette sugli strascichi negativi della pandemia che rischia, realmente, di lasciare segni indelebili in bambini e adolescenti anche al termine di essa. L’Essere-bambino e non solo, in stato di emergenza, ha comportato una concezione del tempo e dello spazio individuale e collettivo nuova, diversa, rimessa completamente in discussione, implicando una differente quotidianità relazionale, familiare, scolastica, extrascolastica: vissuti di corpi condizionati, legati da costrizioni che in particolare per i più piccoli, esulano dalla loro modalità di pensarsi, viversi.

 

«Mosso da un dinamismo interno, vera spinta di crescenza, l’organismo tende a restare in equilibrio con il suo ambiente. Sul piano sociale la ricerca di questo equilibrio si realizza con l’incontro e lo scambio. L’essere umano può vivere segregato, esso non agisce in reazione o per riflesso, ma si esteriorizza, si esprime, ovvero si manifesta come essere umano in un ambiente umano» (Le Boulch, 1971, p. 111).

 

Limiti in potenzialità, trasformazioni che, però, devono essere aiutate, condotte, canalizzate da docenti in grado di cooperare anche con altri professionisti (psicologi, pediatri…) per dare consigli, suggerimenti nel collaborare all’unisono con la famiglia. Nell’articolo “Impatto del distanziamento sociale per covid-19 sulla salute fisica dei giovani: una revisione sistematica della letteratura”, Saulle e colleghi, 2021, prendono in considerazione i potenziali danni sulla salute fisica dei giovani e la necessità di attuare politiche di salvaguardia per il benessere psico-fisico. Politiche che, secondo noi, devono rivolgersi ad una molteplicità di interlocutori in ottica di rete, tenendo in considerazione famiglia, Scuola e istituzioni del tempo libero.

La Scuola deve prendersi carico di bi-sogni, aspettative, richieste, esigenze di tutti e di ciascuno attraverso didattiche, metodologie che vestano perfettamente l’allievo; strumenti tradizionali e innovativi non possono esimersi dal tener conto di un insegnamento/apprendimento calato sull’alunno immerso nella società. È necessario prendersi cura, lavorare sull’autocura, tenendo in mente ed avendo a cuore le biografie diverse e differenti di ogni attore sociale, inteso come soggetto di bi-sogni, adoperandosi a vincere scomodi vissuti, ma anche con-vincere e con-vincersi che l’uscita da labirinti mentali/fisici non è semplice, ma è possibile.

Ma quali i bi-sogni dei nostri piccoli studenti?

Innanzitutto ci preme ricordare con Moliterni (2014) che il concetto stesso di bisogno, connaturato nella concezione maslowiana, conduce il nostro pensiero verso una dimensione fisica non olistica, pertanto rischia di essere letto in forma riduttiva, incasellando e categorizzando sotto una dittatura indicizzante.

Tra i 6 e gli 11 anni i bambini iniziano a vestire un corpo che cambia, un corpo nuovo sempre più misterioso e contaminato di differenze sessuali, per cui devono imparare ad accettare e mentalizzare il proprio aspetto, iniziano, inoltre, a riconoscere nel gruppo un segno di appartenenza e distinzione che permette di costruire la propria identità-sociale in divenire, vi è, pertanto, una sorta di rito di passaggio, una seconda rinascita nel sociale con il gruppo amicale, dunque, i fanciulli hanno bisogno di ruoli e luoghi sicuri che consentano loro di pensarsi nel futuro: i nostri alunni hanno necessità di poter pensare e immaginare il proprio futuro, nonostante sia ignoto.

Tra i bisogni con i quali la Scuola è chiamata a confrontarsi e a dar risposta significativa vi è la solitudine in cui si trovano gli alunni, immersi troppo spesso in contesti fugaci, bombardati da stimoli senza i quali non sono più in grado di trovare alternative creative al dolce scorrere del tempo. Attraverso le restrizioni imposte dalla pandemia, l’isolamento fisico, i bambini hanno, inevitabilmente, ritrovato il senso della noia, inteso come diritto ad osservare le nuvole metabolizzando i propri pensieri.

Durante il lockdown la scuola ha reagito per sopperire alle chiusure e al distanziamento fisico, mostrando, però, tutte le criticità di un’impostazione antica basata su lezioni frontali e metodologie desuete, evidenziando al contempo le potenzialità di un apprendimento non-formale e significativo, costituito da una comunità di buone pratiche (Wenger, 2006) attivando ragionamenti su linee programmatiche volte a sostenere i cittadini tutti, specie i bambini psicologicamente e socialmente più colpiti.

Dal nostro punto di vista i ricercatori e i politici dovrebbero considerare l’epidemia di COVID-19 come uno strumento d’analisi per prevenire gli effetti di ulteriori crisi trasformando le criticità in opportunità di crescita e di riposizionamento sociale delle priorità globali. Le domande urgenti, sulle quali troppa cecità è posta dalla società attuale, riguardano il futuro dei giovani. Le priorità ambientali e socio-culturali investono i bisogni dei bambini ridotti a giocare un ruolo troppo marginale nell’attuale cultura politica.

I soggetti in età scolare, per sentirsi riconosciuti e poter maturare una stabile concezione di Sé, necessitano, in classe, di un rapporto personale e attento: servono comprensione e ascolto attivo con restituzione com-partecipante. Pertanto, il ruolo dell’insegnante, in quanto adulto, deve essere esemplare: gli alunni cercano coerenza in noi; il Maestro non è colui che trasferisce nozioni, ma indirizza l’apprendimento e lo facilita. Maria Montessori quasi un secolo fa scriveva «l’osservazione scientifica ha inoltre stabilito che la vera educazione non è quella impartita dal maestro: l’educazione è un processo naturale che si svolge spontaneamente nell’individuo, e si acquisisce non ascoltando le parole degli altri, ma mediante l’esperienza diretta del mondo circostante. Il compito del maestro sarà dunque di preparare una serie di spunti e incentivi all’attività culturale, distribuiti in un ambiente espressamente preparato, per poi astenersi da ogni intervento troppo diretto e invadente» (Montessori, 1935). Dobbiamo inventare e progettare una Scuola-maestra a tutto tondo che sappia cogliere, dal generale al particolare e viceversa, il talento del singolo per metterlo al servizio del gruppo con insegnamenti per la vita: «questo perché la maestra, mentre svolge la sua attività educativa e di insegnamento, prepara alla vita, interagisce con la vita interiore del bambino» (Borghi, 2015, p. 55).

Le figure educative e formative della Scuola di qualità devono essere Maestre/Maestri con la M maiuscola che sta ad indicare non solo professionalità, ma umanità; i professionisti dell’educazione, intesa come cura e accoglienza, sanno occuparsi e farsi carico di tutti gli alunni, trovando risoluzioni, consolidamento e realizzazione dei bi-sogni degli allievi accogliendo le narrazioni autobiografiche di tutti e di ciascuno osservando anche i più piccoli particolari, decifrando feedback che il linguaggio analogico è in grado di inviare in forma sincera, senza filtri.

Sfumature di stili di personalità attentamente da osservare nel ri-conoscere se e come possono superare montagne russe di emozioni, dove il corpo con il suo facile comunicare nei piccoli, affida il messaggio alt(r)o alla decodifica non verbale gestita, mediata dall’educatore con capacità, virtù che lo devono contraddistinguere;

 

«vorrei evidenziare la virtù della coerenza. Coerenza tra il discorso che si fa e che annuncia la scelta e la pratica che dovrebbe confermare tale discorso. Questa virtù enfatizza la necessità di diminuire la distanza tra discorso e pratica, il che non è facile da raggiungere» (Freire, 2017, p. 24).

 

Sicuramente il corpo in movimento può svolgere il ruolo di facilitatore nel mediare saperi e abilità, teoria e prassi, al servizio delle diverse discipline affrontandole limando con la forza del gradimento, del divertimento e quindi della motivazione. «Uno studio pilota effettuato all’Università di Potsdam ha dimostrato già negli anni Novanta l’influsso che un’offerta di esercizi motori per lo sviluppo degli emisferi cerebrali può esercitare sulle capacità di calcolo, lettura e scrittura dei bambini» (Mulato & Riegger, 2014, p. 25). Un fare, un agito che supera l’astratto e rende concreto, fa toccare con mano quelle conoscenze più ostiche trovando soluzioni ai problemi, dove l’errore diventa apprendimento perché monitorato, aggiustato, guidato. Un corpo in esercizio, in azione, che fa, inteso anche come radar nel rilevare e determinare relazioni, emozioni, comunicazioni, sensibilità canalizzandole e rendendole più adeguate al soggetto in età evolutiva, restituendo soddisfacimento e gratificazione.

È necessario promuovere sempre di più programmi che propongano iniziative cre-at(t)ive per favorire la salute e la cittadinanza attiva, attraverso percorsi didattici mirati al ben-essere degli alunni nell’ambiente scuola e città. La scuola in movimento si connota, pertanto, sin da subito, per la dimensione fisica di corpi abitanti spazi diversi; metaforicamente muove risorse cognitive e creative che facilitano la qualità della vita e consentono di Stare Bene. Anche le pause attive, giochi di e in-equilibrio, possono certamente concorrere alla costruzione di nuove prassi didattiche, dove le attività motorie divengano supporto concreto all’apprendimento. La differenziazione, l’eterogeneità dei materiali e le formazioni di diversi gruppi consentono di apprendere dall’ambiente costruito ad hoc ed inteso come terzo educatore (Malaguzzi, 2010). Gli alunni sono in continuo esercizio abitando i luoghi scolastici, trasformati dai docenti in spazi educativi, in modo attivo e sperimentale, consentendo di evitare sedentarismo e offrendo possibilità di apprendimenti significativi e situazionali. Ma affinché queste buone pratiche divengano concrete è necessario ri-pensare la Scuola ricordando che i bambini prima di tutto hanno un corpo libero che natural-mente induce al movimento richiedendo attività fisica (non seduti composti, ma in sperimentazione motoria continua). Servono aule attive e scuole aperte che leggano il movimento come fonte di apprendimento e partecip-azione.

 

3. Educazione all’aria aperta in creat(t)ività

 

La Scuola deve porsi in maniera attiva nella ri-costruzione di nuovi scenari che rispondano alle esigenze emerse. Come comunità educante, la Scuola è chiamata a delineare un nuovo modello socio-educativo volto alla promozione di buone prassi al fine di mitigare la deriva sedentaria e le sue conseguenti problematicità, ricordando sempre che i bambini non sono crete da plasmare, ma soggetti in azione dotati di determinismo e personalità, preferenze ed esperienze pregresse che si tramutano in lenti per focalizzarsi sul vissuto.

Gli studi pedagogici da decenni e oltre ci propongono alternative possibili, scuole attive, scuole in natura, scuole in movimento, si pensi a Rousseau, Fröbel, Pestalozzi, Montessori solo per citarne alcuni.

Come mai la scuola ancora oggi non riesce a far proprie concezioni pedagogiche sperimentate, consolidate e studiate da anni?

Il riconoscimento delle immense possibilità di crescita offerte dal movimento in natura, da un’educazione all’aria aperta, non emergono solo ora di fronte ad una società invasa da crisi molteplici oltre che dalla pandemia, si pensi ad esempio che lo stesso Federici (1993) trent’anni fa aveva già analizzato e studiato gli effetti benefici dell’attività motoria in ambiente naturale, pensando così ad una scuola attiva, non solo seduta, ed interdisciplinare in grado di offrire agli alunni opportunità formative quasi assenti dagli scenari scolastici. «Se si vuole che l’educazione fisica raggiunga pienamente risultati tangibili nella formazione dei giovani, occorre superare il lavoro di routine e la radicata tendenza ad isolarsi dentro le mura della… consuetudine» (Federici, 1993, p. 19). L’outdoor education è decisamente, tra le metodologie più note per una scuola in movimento a contatto con la natura, ed è, come ricorda Farné, un modo per restituire l’infanzia ai fanciulli, un’educazione all’aperto volta a far «crescere quegli anticorpi formativi necessari allo sviluppo di una personalità che sappia trovare in se stessa le forze e i mezzi per superare i piccoli e grandi problemi che troverà sulla propria strada» (Farné & Agostini, 2014, p. 117).

Gli studi longitudinali accademici confermano l’importanza di un’educazione di qualità in merito alla formazione scolastica ed in particolare Cooper (2015) analizza ed approfondisce i vantaggi dell’educazione all’aperto riconoscendo come questa metodologia didattica abbia le potenzialità per migliorare l'autoregolamentazione, la forma fisica e lo sviluppo motorio, gli aspetti legati all’alimentazione sana, la vista, lo sviluppo cognitivo, il rendimento scolastico, inoltre riduce i sintomi da ADHD aumentando la concentrazione, la fiducia in sé, sviluppando la comprensione e l'apprezzamento degli ecosistemi e dei processi ambientali. In particolare l'osservazione e l'esplorazione, promuovono lo sviluppo della creatività e del pensiero divergente grazie all’apprendimento per scoperta di cui Bruner ricorda i vantaggi, in quanto consente di apprendere in modo progressivo, mediante l’insegnamento ipotetico e collaborativo: lo studente si trova ad analizzare situazioni caratterizzate da regolarità, da leggi causa-effetto, deducendo così possibili linee di conoscenza. Questa metodologia, favorita da una didattica all’aperto, fatta di movimenti e osservazioni, promuove, inoltre, la motivazione intrinseca in quanto si diviene detentori di un sapere mediante scoperta personale, pertanto, la padronanza dell’informazione è certa. In Natura non vi è divisione tra discipline, queste divengono un insieme coerente e integrato, non mere nozioni incasellate; Bruner parla, infatti, di curricolo a spirale che evidenzi le operazioni mentali di crescita mediante un corpus disciplinare logico e generativo.

L’educazione all’aperto consente inoltre lo sviluppo del pensiero narrativo: l’esperienza vissuta in prima persona è raccontata, ripensata, reinterpretata e quindi metabolizzata; nell’espressione orale vi è l’interiorizzazione del sapere e della propria soggettività, ricostruendo la realtà, ponendo in relazione il sé con il mondo, nelle interazioni in cui siamo immersi.

La letteratura scientifica è concorde nell’evidenziare che i livelli di attività all'aperto sono più alti di quelli al chiuso e consentono di promuovere il gioco motorio, sociale, drammatico e costruttivo (Okur-Berberoglu, 2021). In Natura il movimento è libero e il gioco ha valenza anche quando non è strutturato, anzi apporta addirittura ulteriori benefici in termini di salute psico-fisica. Nelle

 

«esperienze dirette di gioco e apprendimento in contesti di natura [...] i bambini tendono ad essere più felici, più sani, più intelligenti, più collaborativi e premurosi [...] entrare in intima relazione con il mondo naturale che li circonda dona loro il senso del luogo, un legame con il posto che è la loro casa» (Guerra, 2015, p. 9).

 

Il gioco libero, creativo e motorio consente di uscire dagli schemi, creare inventari immaginari, fantastici, risolvendo problemi reali mediante l’approccio critico-fantasioso, libertà di pensiero in creat(t)ività e sviluppo libero di sentimenti e inclinazioni.

La creatività, sostiene A. Gentile è alla base dell’innovazione, intesa come intuizione creativa si caratterizza per un articolarsi attraverso modalità prelogiche analogiche intuitive e reticolari. Si sviluppa mediante processi di costruzione intuitivi, ricorsivi e a spirale, propri del pensiero laterale di cui parla De Bono, tipici dell’apprendimento per scoperta. Mediante l’educazione in natura infatti si potenzia un tipo di pensiero generativo e esplorativo che trae origine dai meccanismi dell’intuizione, del pensiero divergente di Guilford, assunto a capacità di combinare i dati disponibili per formulare ipotesi e idee nuove. Questo pensiero è attivato nelle situazioni che permettono una gamma di possibili soluzioni alternative e originali, una sorta di insight caratterizzato da flessibilità, fluidità, originalità di elaborazione.

Il movimento in Natura diviene un linguaggio olistico ed evolutivo che favorisce multiple intelligenze promuovendo empatia, socializzazione, motivazione di sé e senso di autoefficacia inteso come credenza nei confronti delle proprie capacità di regolare il comportamento ed intervenire nei confronti della scelta dei propri obiettivi e delle azioni che possano essere scelte per il loro raggiungimento.

Se consideriamo l’ambiente come un «sistema dinamico costituito da un complesso reticolo di relazioni, interdipendenze, scambi di energia tra realtà naturale e realtà antropica» (Galeri, 2009, p. 18) allora la place-based education diviene un’attraente metodologia finalizzata a connettere i bambini all’ambiente naturale del proprio intorno: l’apprendimento nel contesto reale della natura della propria comunità consente ai soggetti di sviluppare legami profondi con il territorio, aumenta il rendimento scolastico, accresce l'apprezzamento verso il mondo naturale, crea un maggiore impegno verso la comunità, in ottica di cittadinanza attiva. È l’intervento didattico posto in essere che facilita, pertanto, la costruzione del soggetto in termini di adultità: solo garantendo personalizzazione e libertà i discenti avranno modo di sperimentarsi in attività stimolanti.

In un contesto di significanti e significazioni così interpretabile e negoziabile, la Scuola, come suggerito dalle Indicazioni Nazionali deve mirare a favorire l’esplorazione e la scoperta. Se è vero che la creatività si accende quando c’è un problema/ostacolo e richiede coraggio, allora l’insegnamento creativo consiste nel pianificare compiti fuori dal comune attuando una didattica creativa, permettendo di costruire competenze specifiche mediante lo sviluppo di un clima cooperativo e incoraggiando lo sforzo, le nuove idee e il gioco. La Scuola deve favorire il processo di costruzione culturale del caring thinking (Lipman), “pensiero di alto livello”, composito, critico e creativo.

 

4. Tecno-logica-mente attivi

 

La scuola “attiva” cui aspiriamo, volta alla costituzione di un nuovo cittadino, portata avanti con un progetto umano inteso alla Floridi «per – progetto umano – intendo il genere di società che vorremmo realizzare e in cui vorremmo vivere» (Floridi, 2020, p. 103), è una scuola in movimento, che ponga attenzione alla motricità, alla collaborazione, allo sport e alla salute, una scuola che sia anche “inter-attiva” dove la videoludica diventi alt(r)o strumento di apprendimento.

Affinché i bambini si approccino sin da subito in maniera attiva verso le tecnologie è necessario insegnare loro ad utilizzarle in modo non passivo. Con l’obiettivo di ridurre i comportamenti sedentari e promuovere l’attività fisica nei bambini, Zhang et al. (2016) esaminano alcune caratteristiche dei videogiochi attivi prendendo in considerazione i potenziali benefici associati ad essi. Lo scopo addizionale è quello di offrire un argomento per i professionisti del campo scolastico, suggerendo di integrare i videogiochi attivi nella pratica dell’educazione motoria come mezzo per combattere i comportamenti sedentari e l’obesità utilizzando la teoria dell’autodeterminazione e il modello del valore di aspettativa come quadri teorici. Il parere scientifico generale è concorde sul fatto, ad esempio, che gli exergame siano un'opzione, in più, di attività fisica praticabile per i bambini e per i ragazzi nell’aiutarli a renderli più attivi, favorendo le capacità motorie, le prestazioni cognitive e la salute. Gli exergame sono “strumenti di senso contrario” alla sedentarietà e pur essendo videogame inducono movimento promuovendo sia l'attività fisica, sia miglioramenti in termini di prestazioni cognitive e mentali.

 

«Sono videogiochi mediamente più costosi degli altri (perché sovente necessitano di apparecchiature appositamente studiate), ma il cui risvolto può certamente andare, anche fisicamente, ben oltre il solo intrattenimento: permettendo una tenuta cognitivo-corporea assimilabile anche a quella sportiva e comunque una forma fisica persino invidiabile» (Federici, 2022).

 

I videogiochi non possono sostituire la motricità, la pratica sportiva e il gioco all’aperto, ma sicuramente dovranno integrarsi alla tradizionale programmazione di educazione fisica, potendo svolgere un ruolo complementare per una Scuola di qualità, che aiuti a soddisfare le diverse esigenze e preferenze degli studenti al fine di raggiungere gli obiettivi e le norme nazionali (Valentini & Pellegrini, 2019, p. 126). Un limite degli exergame, così come per i serius game (videogiochi originariamente ed espressamente pensati per formare, educare e istruire che hanno un diretto, evidente e cospicuo impatto cognitivo), è rappresentato dal fatto che entrambi a lungo andare, superata la novità, possono risultare poco accattivanti, negando la loro effettiva riuscita di videogioco, non arrivando più ad intrigare il pubblico giovanissimo già saturo di stimoli. L’impiego degli exergame nel contesto scolastico con possibili scenari operativi, sarà demandato alla formazione dei docenti nel saperli scegliere e consigliare; con un loro utilizzo mirato alle caratteristiche degli allievi; dove l’attività fisica servirà da stimolo per il gioco; per connettere mente e corpo in maniera diversa, altra. La nostra riflessione vuole indurci a ripensare la tecnologia con nuove lenti in quanto i videogiochi non sono unilateralmente subìti dal fruitore, vi sono azioni che vengono compiute dal soggetto, il gamer, attraverso un “mediatore”, il controller, oggetto esterno che permette di diventare coregisti del videogioco stesso. Sempre di più c’è la volontà di trasportare o fondere il controller internamente, o meglio rimuoverlo affinché l’interazione non sia mediata da dispositivi altri rispetto alle intenzioni, cambiando ruoli e responsabilità:

 

«invece di opporre le macchine agli uomini, invece di metterle le une e gli altri in concorrenza, mi sembra essenziale pensarli come irriducibilmente complementari, in altre parole, considerare le macchine come un’occasione per far progredire gli uomini. Questo nuovo punto di vista implica un profondo cambiamento nell’organizzazione del lavoro» (Schwartz, 1995, p. 218).

 

Con Neuralink, E. Musk, ad esempio, sta lavorando per collegare in modo diretto il cervello a un dispositivo, con sviluppi potenziali enormi nel campo sanitario. Pensiamo ancora alla Videogame Therapy definita da Landreth come una relazione interpersonale dinamica tra un soggetto e un terapeuta esperto che mediante videogiochi selezionati promuove l’instaurarsi di una relazione sicura mirata all’esplorazione di Sé fino ad imparare l’interazione con l’altro da Sé e con il mondo in modo tale da comprendere le dinamiche sociali. Mediante il videogioco attivo si stimola la memoria di lavoro sita nell’emisfero sinistro, si aumenta lo sviluppo dell’autoconsapevolezza in quanto si necessita di autocontrollo che consenta di accettare, misurarsi con le sfide proposte, attivando risorse creative ed emotive, il Sé creativo, vivere il “Flow” (Csikszentmihalyi) esperienza ottimale, che non dipende da eventi esterni, ma dalla capacità di influenzare positivamente il nostro mondo interiore: crearsi da soli un’attività significativa che comporti un obiettivo da risolvere mediante concentrazione.

In questa assoluta trasformazione, anche velocissima, emerge l’urgenza di formare educatori e docenti in ottica del lifelong learning per colmare il gap generazionale che li separa dai propri discenti e avvicinare la comunità educativa nel pensare, riflettere, socializzare per una formazione e diffusione della cultura videoludica nell’insegnamento 4.0. Per una formazione di qualità è pertanto fondamentale rimanere aggiornati, anche sulle più recenti ricerche scientifiche e sulla letteratura di riferimento per comprendere, in primis studiando, l’evoluzione/rivoluzione dell’insegnare il videogioco in termini educativi.

 

5. Conclusioni

 

Ribaditi i benefici del movimento in età scolare e non solo, innegabili, e dell’apprendimento all’aperto in termini cognitivi, emotivi e fisici, la Scuola non può evitare di integrare plurime metodologie affiancando l’educazione motoria alle altre discipline, favorendo un pensiero olistico e non intermittente. Le costruzioni culturali si creano e negoziano anche nei cambi di ottica, di paradigma, nel capovolgimento di prospettiva, in quanto flessibilità e elasticità sono valori aggiunti. ¿Atrevimiento o locura? (Desigual, 2019): entrambi, tenendo per mano formazione-educazione e, anche, buon senso.

Motricità e ludicità dovrebbero essere i motori propulsori del cambiamento, adattando gli ambienti fisici e mentali delle classi alle modalità di apprendimento dei discenti, creando spazi accattivanti e motivanti, promuovendo un’educazione non formale che sappia orientare la curiosità innata e la ricerca spontanea di movimento e socialità dei bambini: «Perciò il primo approccio a qualsiasi argomento nelle scuole dovrebbe essere il meno scolastico possibile, se si vuole risvegliare il pensiero e non insegnare delle parole» (Dewey, 2004, p. 167).

Una scuola-comunità-educante che parta dall’alunno e dai suoi interessi, affinché il processo educativo non sia effimero e avulso dalla realtà socio-culturale ed affettiva del minore. L’apprendimento significativo e situazionale, cui aspiriamo, parte dal mondo del discente, da ciò che conosce e gli è caro, quindi è necessario associare qualsiasi materia con la quotidianità dei vissuti esperienziali: «occorre partire dal basso […] incontrare le persone, assumersi delle responsabilità e accompagnare, avere la possibilità di fornire all’istituente la necessità di interpretare le regole secondo i nuovi bisogni» (Cocever & Canevaro, 2011, p. 13).

I professionisti della formazione ed educazione assumono un ruolo mediato di ponte tra micro e macro contesti al fine di orientare ogni attore sociale all’adultità, pensandolo però hic et nunc e in inter-azione continua. Siamo tutti chiamati a spogliarci delle verità e degli assolutismi e ciò «implica la capacità di mettere in comune, di mettere nel cesto molti modi e costruire insieme il puzzle della Vita» (Malaguti, 2011, p. 6).

Soggetti in età evolutiva abitati da singolarità che si vogliono confrontare e negoziare mediante il movimento nello spazio, nel tempo, con il corpo veicolo primario di conoscenza e di creatrici conquiste squisitamente personali.

Nella pluralità integrata si alimentano le logiche della contaminazione che consentono il dialogo reciproco e creativo, mai unidirezionale, apertura e inclusione, rispetto ed accoglienza di tutti e di ciascuno. Una Scuola che possa contribuire in maniera significativa, costruttiva con nuove possibilità educative, formative, didattiche integrate con quelle tradizionali di cui è portatrice sana. Un rinnovamento, un rinascimento che sappia coniugare passato, presente, futuro; capire, interpretare, dare risposte a priorità reali di un ecosistema delicato nel quale crescere in armonia globale. Dove il Maestro potrà fare davvero la differenza. Anche così si potranno rimuovere povertà educative, consentendo l’emergere di capacità e talenti. «Tutti sono diversi: ognuno deve sviluppare al massimo le sue capacità» (Lodi, 1982).

 

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