‘Elementally’ in motion
Primaria-mente
in movimento
Manuela
Valentini
Università
degli Studi di Urbino Carlo Bo – manuela.valentini@uniurb.it
https://orcid.org/0000-0003-2655-1778
Paola
Donatiello
IIS
Marconi Pieralisi, Jesi – paoladonatiello@gmail.com
https://orcid.org/0000-0001-8401-3084
ABSTRACT
The new social orientation tends to isolate, within technological
networks, social actors who increasingly adapt to an unnatural and myopic
sedentarism. The COVID-19 pandemic has accentuated the needs of everyone,
especially of children, who have been excluded from the pro-social and
environmental dynamic environment. The aim of this essay is to reflect on the
opportunities opened by the crisis understood as “decisive phase”, from the
Greek krísis “choice, decision”. It is time to
take action and ride the wave of change in order to approach new integrated educational
models that can focus on the potential of motor skills, especially outdoors,
related to learning, cognitive, emotional and physical improvement. The body,
acted and primary learning agent, is necessarily in motion, involuntarily and
ineluctably in an incessant search and discovery of Self, a Self
placed in relation to the world and to the Others.
Il
nuovo orientamento sociale tende ad isolare all’interno di reti tecnologiche
gli attori sociali che sempre più si adattano ad un innaturale e miope
sedentarismo. La pandemia COVID-19 non ha che accentuato bisogni e necessità di
tutti, specie dei bambini, rimasti esclusi dall’intorno dinamico pro-sociale e
ambientale. Con il presente articolo intendiamo porre alcune riflessioni sulle
opportunità aperte dalla crisi intesa come “fase decisiva”, dal greco krísis “scelta, decisione”. È il momento di agire e
cavalcare l’onda del cambiamento per avvicinarsi a nuovi modelli educativi
integrati in grado di porre attenzione sulle potenzialità della motricità,
specie all’aperto, legate all’apprendimento, al miglioramento cognitivo,
emotivo e fisico. Il corpo, agito e agente primario d’apprendimento, è
necessariamente in movimento, involontariamente e ineluttabilmente in
incessante ricerca e scoperta di Sé, un Sé posto in relazione al mondo e agli
Altri.
KEYWORDS
Outdoor education, Integrated curriculum, Motricity,
COVID-19, Corporeality
Educazione
all’aperto, Curricolo integrato, Motricità, COVID-19, Corporeità
AUTHORSHIP
L’articolo è il
prodotto di un’ideazione e di una stesura comune. Ai fini dell’attribuzione: M. Valentini
(Paragrafi 2 e 4); P. Donatiello (Paragrafi 1 e 3).
CONFLICTS
OF INTEREST
Le Autrici dichiarano che
non sussistono conflitti d’interesse.
1.
Introduzione: il bambino al centro
«Cipí... cipí, voglio uscire di qui!...
– gridava lui […]. Io voglio vedere... cipí, cipí... io voglio andare fuori da questo buco» (Lodi, 1972).
Apriamo
con un omaggio al Maestro Mario Lodi, nel centenario della nascita, alla sua
attenzione verso le singolarità dei bambini posti al centro dell’intervento
educativo. Attivismo e pedagogia puerocentrica, rispetto e ascolto attivo delle
inclinazioni di ogni piccolo alunno, sono tra le eredità cui dobbiamo guardare
ancora oggi con stupore e meraviglia, in quanto la Scuola ha necessità urgente
di tradurre le concezioni pedagogiche in reali prassi educative (Dewey, 2004; Lodi,
1977; Montessori, 1950). Il nuovo orientamento pedagogico non legge più i
fanciulli come piccoli selvaggi da contenere, ma come soggetti d’apprendimento da
stimolare per ricercare il loro talento.
Siamo
più che mai immersi nelle fitte trame della complessità, nelle crisi prodotte
da guerre e pandemia e sempre meno i bambini hanno modo di “uscire dal nido”,
di abitare il mondo, di vivere il quartiere, di essere protagonisti della
costruzione squisitamente culturale del sapere scolastico. La famiglia etica di
un tempo cede il passo a quella affettiva, spesso “allungata” (Scaparro, 2002) e
ricostituita, basata sull’affettività, dove il consenso dei figli spesso viene
cercato attraverso l’amicizia; questo fa sì che non vi sia più paura
dell’adulto e della punizione. Tali cambiamenti socio-culturali si traducono in
processi comportamentali emotivi e cognitivi con i quali i professionisti della
comunità educante devono confrontarsi anche nell’ambiente-classe, inteso come
microcosmo rappresentativo delle costruzioni sociali. Eppure la scuola non si è
allineata ai mutamenti prodotti nella società, soprattutto fisicamente e
strutturalmente non è cambiata, mentre gli alunni, attori sociali protagonisti
del Sapere, sì. Incombenze di ogni genere frenano il flusso di innovazioni
didattiche, di buone pratiche sperimentali, sommersi come siamo dalle
preoccupazioni e dall’incessante e martellante scorrere del tempo con le sue
immancabili scadenze da rincorrere.
La
Scuola non può esimersi dal cambiare considerando il fabbisogno dei bambini attraverso
analisi antropologiche volte a comprendere i nessi tra necessità
extrascolastiche e problematiche socio-culturali, affinché si possa ripensare lo
statuto epistemologico della Pedagogia.
La
prospettiva inclusiva cui siamo orientati, non assume solo le diversità
individuali a oggetto di attivazione delle politiche di cura, ma deve leggere
le discipline stesse in modo globale, mediante una revisione volta ad
abbattere, non solo le barriere architettoniche e mentali, ma anche quelle
disciplinari. La Scuola va interpretata in ottica poli-interdisciplinare,
evitando di incasellare e ordinare in cartelle precostituite, segmentate in
materie e programmazioni definite, impegnandosi a promuovere l’unicità di tutti
i bambini, nessuno escluso, valorizzando la pluralità di differenze che ci
caratterizzano mediante una visione olistica che oltrepassi i muri delle
convezioni date, e si situi nella fluidità degli scambi continui che avvengono
nella frontiera, intesa come luogo di incontro e negoziazione, spazio simbolico
di dialogo e apertura verso l’altro.
L’attenzione
pedagogica va, inoltre, orientata verso l’ambito della “cura” in quanto ci troviamo
a far fronte ad importanti cambiamenti storico-culturali che inevitabilmente si
traducono in adozione di stili di vita che rischiano di minare la salute
psico-fisica di tutti gli attori sociali, specie dei più piccini. Sono infatti
i bambini e le bambine a subire le conseguenze di dettami imposti dall’incessante
urbanizzazione e tecnologizzazione, dall’incapacità degli adulti di leggere
bisogni e di interpretare sguardi e silenzi. In particolare la situazione
pandemica ha fatto emergere, in modo evidente, quali siano le conseguenze di
uno stile di vita sedentario, privo di motricità e di giochi all’aperto. Non
possiamo certamente non analizzare le derive negative prodotte dal COVID-19 in
quanto a deficit educativi, deficit di natura, assenza di motricità; è
necessario sottolineare come l’impatto a livello educativo abbia incrementato
il divario di apprendimento tra soggetti in base al grado di benessere. Zhang e
Lee (2020) sostengono che il COVID-19 abbia causato gravi
problemi in termini di salute mentale, disturbo acuto da stress e disturbo da
stress post-traumatico, e di salute fisica aumentando i problemi legati alla
sedentarietà e all’obesità, impattando in modo particolare sui comportamenti
dei soggetti in età scolare. Diversi studi condotti in USA, inoltre, hanno
messo in luce come la pandemia abbia avuto effetti maggiori sulle fasce sociali
in situazione economica già critica, ponendo in evidenza come siano ancora oggi
le differenze “razziali” a determinare la qualità della vita (The Annie E.
Casey Foundation, 2021). Nel 2017, in Nord America, i tassi di obesità tra i
soggetti d’età compresa tra 6-11 anni, avevano già raggiunto il 17% secondo il
Centers for Disease Control (Coyle,
2017). Secondo un’indagine svolta da U.S. Department of Health and Human
Services, Health Resources and Services
Administration, Maternal and Child Health Bureau,
National Survey of Children’s Health, nel 2021, negli
Stati Uniti la percentuale di bambini e adolescenti in sovrappeso è aumentata
notevolmente. Nel 2015 Federici annotava come il sedentarismo potesse essere
causa di «obesità, sindrome ipocinetica, astenia, deficit di attenzione,
perdita di capacità funzionali coordinative e condizionali quali forza,
velocità, resistenza» (Federici, 2015, p. 106). L’obesità, infatti, si
associa a rischi di ipertensione, diabete, asma ecc. mentre l’assenza di
educazione all’aperto produce una carenza di vitamina D e dunque danni per la
struttura ossea, rischi di malattie cardiache, difficoltà di gestione sonno-veglia
con conseguente stato di riduzione della concentrazione e aumento dei sintomi
di ADHD (Cooper, 2015).
L’attività fisica, svolta in età prescolare e
scolare, pone le radici determinanti i comportamenti futuri, ha un impatto a
lungo termine sulla salute e sulle abitudini quotidiane (Zhang & Lee, 2020).
Le nuove linee guida dell’OMS (2020), nel contrasto alla sedentarietà
amplificata dal Covid-19, sottolineano che i bambini e gli adolescenti
dovrebbero praticare almeno 60 minuti al giorno di attività fisica di intensità
moderata o vigorosa, per lo più aerobica integrata, almeno 3 volte a settimana,
con attività aerobiche energiche, inoltre, va limitato il tempo sedentario
specie se trascorso davanti a uno schermo. Le Indicazioni Nazionali (2012) esplicitano
come l’attività motoria contribuisca
«alla formazione della personalità
dell’alunno attraverso la conoscenza e la consapevolezza della propria identità
corporea, nonché del continuo bisogno di movimento come cura costante della
propria persona e del proprio benessere […] Le attività motorie e sportive
forniscono agli alunni le occasioni per riflettere sui cambiamenti del proprio
corpo, per accettarli e viverli serenamente come espressione della crescita e
del processo di maturazione di ogni persona; offrono altresì occasioni per
riflettere sulle valenze che l’immagine di sé assume nel confronto col gruppo
dei pari» (MIUR, 2012, p. 76).
Identità
e alterità si confrontano, si esplorano, si negoziano, permettono di porre al
centro della riflessione il bambino in divenire, le riflessioni sul proprio sé,
orientando un processo di insegnamento-apprendimento volto a integrare una
pluralità di linguaggi mai avulsi dalla dimensione motoria. Il corpo in
movimento, assume connotati di mappa identitaria, permette di porre le radici
del nostro essere, radici che si configurano come terreno fertile di partenze e
base sicura per ritorni: riconosciamo noi stessi mediante il movimento nello
spazio che consente l’appropriazione corporea finalizzata a plasmare
un’identità stabile, ma flessibile ed evolutiva.
Queste
premesse ci permettono di orientare la nostra osservazione sui vissuti dei
bambini e delle bambine nella società dell’Antropocene, intesa dagli
antropologi Aime, Favole, Remotti, 2020, come una cultura inedita composta da
un insieme di cosalità (l’essere cosa valoriale)
mercificabili e reificanti, invadenti i nostri processi sociali, comunicativi,
mentali e culturali, un’ipercultura globale che
travolge e ruba il futuro. In quest’ottica il lockdown, ha interrotto le
abitudini quotidiane, ha mostrato la nostra fragilità e impotenza di fronte
alla Natura, ma allo stesso tempo si è posto come via di fuga, in quanto
ricerca di una dimensione familiare vissuta con ritmi diluiti e noia ritrovata.
Vogliamo, pertanto, non solo leggere le criticità drammatiche emerse, ma
osservare anche le “vie di fuga” intese da Cacucci come punto «da cui partono
infinite linee: basta seguirle, per scoprire altrettante realtà, dimensioni,
mondi».
2.
Bi-sogni della generazione α
La
comunità scientifica mondiale, attraverso sperimentazioni, saggi scientifici e
ricerche, denuncia ormai da anni la continua riduzione, in tutta l’età
evolutiva, del tempo dedicato al movimento. Interessante la ricerca condotta da
Farooq et al. (2017), in cui si esplicita come i
futuri sforzi a livello politico e di ricerca si debbano concentrare sulla
promozione dell'attività fisica sin dall’età prescolare. Nel 2020 le WHO guidelines on physical activity
and sedentary behaviour
hanno fornito raccomandazioni per la salute pubblica, evidenziando la necessità
di attività fisica, delineandone frequenza, intensità e durata in ogni fase
dello sviluppo umano, al fine di poter osservare significativi benefici e
mitigare i rischi di malattie. Le evidenze scientifiche mostrano, infatti, come
una regolare attività fisica da moderata a vigorosa sia associata, oltre alla
prevenzione delle malattie cardiometaboliche, ad un incremento delle funzioni
intellettive e cognitive, supportando così il rendimento scolastico e la salute
psichica degli alunni.
Il contributo italiano di Marra et al. (2021) riflette
sugli strascichi negativi della pandemia che rischia, realmente, di lasciare segni
indelebili in bambini e adolescenti anche al termine di essa. L’Essere-bambino
e non solo, in stato di emergenza, ha comportato una concezione del tempo e
dello spazio individuale e collettivo nuova, diversa, rimessa completamente in
discussione, implicando una differente quotidianità relazionale, familiare, scolastica,
extrascolastica: vissuti di corpi condizionati, legati da costrizioni che in
particolare per i più piccoli, esulano dalla loro modalità di pensarsi,
viversi.
«Mosso da un dinamismo interno,
vera spinta di crescenza, l’organismo tende a restare in equilibrio con il suo
ambiente. Sul piano sociale la ricerca di questo equilibrio si realizza con
l’incontro e lo scambio. L’essere umano può vivere segregato, esso non agisce
in reazione o per riflesso, ma si esteriorizza, si esprime, ovvero si manifesta
come essere umano in un ambiente umano» (Le Boulch,
1971, p. 111).
Limiti
in potenzialità, trasformazioni che, però, devono essere aiutate, condotte,
canalizzate da docenti in grado di cooperare anche con altri professionisti
(psicologi, pediatri…) per dare consigli, suggerimenti nel collaborare
all’unisono con la famiglia. Nell’articolo “Impatto del distanziamento sociale
per covid-19 sulla salute fisica dei giovani: una revisione sistematica della
letteratura”, Saulle e colleghi, 2021, prendono in considerazione i potenziali
danni sulla salute fisica dei giovani e la necessità di attuare politiche di
salvaguardia per il benessere psico-fisico. Politiche che, secondo noi, devono
rivolgersi ad una molteplicità di interlocutori in ottica di rete, tenendo in
considerazione famiglia, Scuola e istituzioni del tempo libero.
La
Scuola deve prendersi carico di bi-sogni, aspettative, richieste, esigenze di
tutti e di ciascuno attraverso didattiche, metodologie che vestano perfettamente
l’allievo; strumenti tradizionali e innovativi non possono esimersi dal tener
conto di un insegnamento/apprendimento calato sull’alunno immerso nella società.
È necessario prendersi cura, lavorare sull’autocura, tenendo in mente ed avendo
a cuore le biografie diverse e differenti di ogni attore sociale, inteso come
soggetto di bi-sogni, adoperandosi a vincere scomodi vissuti, ma anche con-vincere
e con-vincersi che l’uscita da labirinti mentali/fisici non è semplice, ma è possibile.
Ma
quali i bi-sogni dei nostri piccoli studenti?
Innanzitutto ci preme
ricordare con Moliterni (2014) che il concetto stesso di bisogno, connaturato
nella concezione maslowiana, conduce il nostro
pensiero verso una dimensione fisica non olistica, pertanto rischia di essere
letto in forma riduttiva, incasellando e categorizzando sotto una dittatura
indicizzante.
Tra
i 6 e gli 11 anni i bambini iniziano a vestire un corpo che cambia, un corpo
nuovo sempre più misterioso e contaminato di differenze sessuali, per cui
devono imparare ad accettare e mentalizzare il proprio aspetto, iniziano,
inoltre, a riconoscere nel gruppo un segno di appartenenza e distinzione che
permette di costruire la propria identità-sociale in divenire, vi è, pertanto,
una sorta di rito di passaggio, una seconda rinascita nel sociale con il gruppo
amicale, dunque, i fanciulli hanno bisogno di ruoli e luoghi sicuri che
consentano loro di pensarsi nel futuro: i nostri alunni hanno necessità di
poter pensare e immaginare il proprio futuro, nonostante sia ignoto.
Tra
i bisogni con i quali la Scuola è chiamata a confrontarsi e a dar risposta
significativa vi è la solitudine in cui si trovano gli alunni, immersi troppo
spesso in contesti fugaci, bombardati da stimoli senza i quali non sono più in
grado di trovare alternative creative al dolce scorrere del tempo. Attraverso
le restrizioni imposte dalla pandemia, l’isolamento fisico, i bambini hanno,
inevitabilmente, ritrovato il senso della noia, inteso come diritto ad
osservare le nuvole metabolizzando i propri pensieri.
Durante
il lockdown la scuola ha reagito per sopperire alle chiusure e al
distanziamento fisico, mostrando, però, tutte le criticità di un’impostazione
antica basata su lezioni frontali e metodologie desuete, evidenziando al
contempo le potenzialità di un apprendimento non-formale e significativo, costituito
da una comunità di buone pratiche (Wenger, 2006) attivando ragionamenti su
linee programmatiche volte a sostenere i cittadini tutti, specie i bambini
psicologicamente e socialmente più colpiti.
Dal
nostro punto di vista i ricercatori e i politici dovrebbero considerare l’epidemia
di COVID-19 come uno strumento d’analisi per prevenire gli effetti di ulteriori
crisi trasformando le criticità in opportunità di crescita e di
riposizionamento sociale delle priorità globali. Le domande urgenti, sulle quali
troppa cecità è posta dalla società attuale, riguardano il futuro dei giovani.
Le priorità ambientali e socio-culturali investono i bisogni dei bambini ridotti
a giocare un ruolo troppo marginale nell’attuale cultura politica.
I
soggetti in età scolare, per sentirsi riconosciuti e poter maturare una stabile
concezione di Sé, necessitano, in classe, di un rapporto personale e attento:
servono comprensione e ascolto attivo con restituzione com-partecipante.
Pertanto, il ruolo dell’insegnante, in quanto adulto, deve essere esemplare:
gli alunni cercano coerenza in noi; il Maestro non è colui che trasferisce
nozioni, ma indirizza l’apprendimento e lo facilita. Maria Montessori quasi un
secolo fa scriveva «l’osservazione scientifica ha inoltre stabilito che la vera
educazione non è quella impartita dal maestro: l’educazione è un processo
naturale che si svolge spontaneamente nell’individuo, e si acquisisce non
ascoltando le parole degli altri, ma mediante l’esperienza diretta del mondo
circostante. Il compito del maestro sarà dunque di preparare una serie di
spunti e incentivi all’attività culturale, distribuiti in un ambiente
espressamente preparato, per poi astenersi da ogni intervento troppo diretto e
invadente» (Montessori, 1935). Dobbiamo inventare e progettare una
Scuola-maestra a tutto tondo che sappia cogliere, dal generale al particolare e
viceversa, il talento del singolo per metterlo al servizio del gruppo con
insegnamenti per la vita: «questo perché la maestra, mentre svolge la sua
attività educativa e di insegnamento, prepara alla vita, interagisce con la
vita interiore del bambino» (Borghi, 2015, p. 55).
Le
figure educative e formative della Scuola di qualità devono essere
Maestre/Maestri con la M maiuscola che sta ad indicare non solo
professionalità, ma umanità; i professionisti dell’educazione, intesa come cura
e accoglienza, sanno occuparsi e farsi carico di tutti gli alunni, trovando
risoluzioni, consolidamento e realizzazione dei bi-sogni degli allievi
accogliendo le narrazioni autobiografiche di tutti e di ciascuno osservando
anche i più piccoli particolari, decifrando feedback che il linguaggio analogico
è in grado di inviare in forma sincera, senza filtri.
Sfumature
di stili di personalità attentamente da osservare nel ri-conoscere
se e come possono superare montagne russe di emozioni, dove il corpo con il suo
facile comunicare nei piccoli, affida il messaggio alt(r)o alla decodifica non
verbale gestita, mediata dall’educatore con capacità, virtù che lo devono
contraddistinguere;
«vorrei evidenziare la virtù della
coerenza. Coerenza tra il discorso che si fa e che annuncia la scelta e la
pratica che dovrebbe confermare tale discorso. Questa virtù enfatizza la
necessità di diminuire la distanza tra discorso e pratica, il che non è facile
da raggiungere» (Freire, 2017, p. 24).
Sicuramente
il corpo in movimento può svolgere il ruolo di facilitatore nel mediare saperi
e abilità, teoria e prassi, al servizio delle diverse discipline affrontandole
limando con la forza del gradimento, del divertimento e quindi della
motivazione. «Uno studio pilota effettuato all’Università di Potsdam ha
dimostrato già negli anni Novanta l’influsso che un’offerta di esercizi motori
per lo sviluppo degli emisferi cerebrali può esercitare sulle capacità di
calcolo, lettura e scrittura dei bambini» (Mulato
& Riegger, 2014, p. 25). Un fare, un agito
che supera l’astratto e rende concreto, fa toccare con mano quelle conoscenze
più ostiche trovando soluzioni ai problemi, dove l’errore diventa apprendimento
perché monitorato, aggiustato, guidato. Un corpo in esercizio, in azione, che fa,
inteso anche come radar nel rilevare e determinare relazioni, emozioni,
comunicazioni, sensibilità canalizzandole e rendendole più adeguate al soggetto
in età evolutiva, restituendo soddisfacimento e gratificazione.
È
necessario promuovere sempre di più programmi che propongano iniziative cre-at(t)ive per favorire la salute e la cittadinanza
attiva, attraverso percorsi didattici mirati al ben-essere degli alunni
nell’ambiente scuola e città. La scuola in movimento si connota, pertanto, sin
da subito, per la dimensione fisica di corpi abitanti spazi diversi;
metaforicamente muove risorse cognitive e creative che facilitano la qualità
della vita e consentono di Stare Bene. Anche le pause attive, giochi di e in-equilibrio,
possono certamente concorrere alla costruzione di nuove prassi didattiche, dove
le attività motorie divengano supporto concreto all’apprendimento. La
differenziazione, l’eterogeneità dei materiali e le formazioni di diversi
gruppi consentono di apprendere dall’ambiente costruito ad hoc ed inteso come
terzo educatore
(Malaguzzi, 2010). Gli alunni sono in continuo esercizio abitando i
luoghi scolastici, trasformati dai docenti in spazi educativi, in modo attivo e
sperimentale, consentendo di evitare sedentarismo e offrendo possibilità di
apprendimenti significativi e situazionali. Ma affinché queste buone pratiche
divengano concrete è necessario ri-pensare la Scuola
ricordando che i bambini prima di tutto hanno un corpo libero che natural-mente induce al movimento richiedendo attività
fisica (non seduti composti, ma in sperimentazione motoria continua). Servono
aule attive e scuole aperte che leggano il movimento come fonte di
apprendimento e partecip-azione.
3.
Educazione all’aria aperta in creat(t)ività
La
Scuola deve porsi in maniera attiva nella ri-costruzione
di nuovi scenari che rispondano alle esigenze emerse. Come comunità educante, la
Scuola è chiamata a delineare un nuovo modello socio-educativo volto alla promozione
di buone prassi al fine di mitigare la deriva sedentaria e le sue conseguenti
problematicità, ricordando sempre che i bambini non sono crete da plasmare, ma
soggetti in azione dotati di determinismo e personalità, preferenze ed
esperienze pregresse che si tramutano in lenti per focalizzarsi sul vissuto.
Gli
studi pedagogici da decenni e oltre ci propongono alternative possibili, scuole
attive, scuole in natura, scuole in movimento, si pensi a Rousseau, Fröbel, Pestalozzi, Montessori solo per citarne alcuni.
Come
mai la scuola ancora oggi non riesce a far proprie concezioni pedagogiche
sperimentate, consolidate e studiate da anni?
Il
riconoscimento delle immense possibilità di crescita offerte dal movimento in
natura, da un’educazione all’aria aperta, non emergono solo ora di fronte ad
una società invasa da crisi molteplici oltre che dalla pandemia, si pensi ad
esempio che lo stesso Federici (1993) trent’anni fa aveva già analizzato e
studiato gli effetti benefici dell’attività motoria in ambiente naturale,
pensando così ad una scuola attiva, non solo seduta, ed interdisciplinare in
grado di offrire agli alunni opportunità formative quasi assenti dagli scenari
scolastici. «Se si vuole che l’educazione fisica raggiunga pienamente risultati
tangibili nella formazione dei giovani, occorre superare il lavoro di routine e
la radicata tendenza ad isolarsi dentro le mura della… consuetudine» (Federici,
1993, p. 19). L’outdoor education è decisamente,
tra le metodologie più note per una scuola in movimento a contatto con la
natura, ed è, come ricorda Farné, un modo per
restituire l’infanzia ai fanciulli, un’educazione all’aperto volta a far «crescere
quegli anticorpi formativi necessari allo sviluppo di una personalità che
sappia trovare in se stessa le forze e i mezzi per superare i piccoli e grandi
problemi che troverà sulla propria strada» (Farné
& Agostini, 2014, p. 117).
Gli
studi longitudinali accademici confermano l’importanza di un’educazione di
qualità in merito alla formazione scolastica ed in particolare Cooper (2015) analizza
ed approfondisce i vantaggi dell’educazione all’aperto riconoscendo come questa
metodologia didattica abbia le potenzialità per migliorare
l'autoregolamentazione, la forma fisica e lo sviluppo motorio, gli aspetti
legati all’alimentazione sana, la vista, lo sviluppo cognitivo, il rendimento
scolastico, inoltre riduce i sintomi da ADHD aumentando la concentrazione, la
fiducia in sé, sviluppando la comprensione e l'apprezzamento degli ecosistemi e
dei processi ambientali. In particolare l'osservazione e l'esplorazione, promuovono
lo sviluppo della creatività e del pensiero divergente grazie all’apprendimento
per scoperta di cui Bruner ricorda i vantaggi, in quanto consente di apprendere
in modo progressivo, mediante l’insegnamento ipotetico e collaborativo: lo
studente si trova ad analizzare situazioni caratterizzate da regolarità, da
leggi causa-effetto, deducendo così possibili linee di conoscenza. Questa
metodologia, favorita da una didattica all’aperto, fatta di movimenti e
osservazioni, promuove, inoltre, la motivazione intrinseca in quanto si diviene
detentori di un sapere mediante scoperta personale, pertanto, la padronanza
dell’informazione è certa. In Natura non vi è divisione tra discipline, queste
divengono un insieme coerente e integrato, non mere nozioni incasellate; Bruner
parla, infatti, di curricolo a spirale che evidenzi le operazioni mentali di
crescita mediante un corpus disciplinare logico e generativo.
L’educazione
all’aperto consente inoltre lo sviluppo del pensiero narrativo: l’esperienza
vissuta in prima persona è raccontata, ripensata, reinterpretata e quindi
metabolizzata; nell’espressione orale vi è l’interiorizzazione del sapere e
della propria soggettività, ricostruendo la realtà, ponendo in relazione il sé
con il mondo, nelle interazioni in cui siamo immersi.
La
letteratura scientifica è concorde nell’evidenziare che i livelli di attività
all'aperto sono più alti di quelli al chiuso e consentono di promuovere il
gioco motorio, sociale, drammatico e costruttivo (Okur-Berberoglu,
2021). In Natura il movimento è libero e il gioco ha valenza anche quando non è
strutturato, anzi apporta addirittura ulteriori benefici in termini di salute
psico-fisica. Nelle
«esperienze dirette di gioco e
apprendimento in contesti di natura [...] i bambini tendono ad essere più
felici, più sani, più intelligenti, più collaborativi e premurosi [...] entrare
in intima relazione con il mondo naturale che li circonda dona loro il senso
del luogo, un legame con il posto che è la loro casa» (Guerra, 2015, p. 9).
Il
gioco libero, creativo e motorio consente di uscire dagli schemi, creare
inventari immaginari, fantastici, risolvendo problemi reali mediante
l’approccio critico-fantasioso, libertà di pensiero in creat(t)ività e sviluppo libero di sentimenti e inclinazioni.
La
creatività, sostiene A. Gentile è alla base dell’innovazione, intesa come intuizione
creativa si caratterizza per un articolarsi attraverso modalità prelogiche
analogiche intuitive e reticolari. Si sviluppa mediante processi di costruzione
intuitivi, ricorsivi e a spirale, propri del pensiero laterale di cui parla De
Bono, tipici dell’apprendimento per scoperta. Mediante l’educazione in natura
infatti si potenzia un tipo di pensiero generativo e esplorativo che trae
origine dai meccanismi dell’intuizione, del pensiero divergente di Guilford,
assunto a capacità di combinare i dati disponibili per formulare ipotesi e idee
nuove. Questo pensiero è attivato nelle situazioni che permettono una gamma di
possibili soluzioni alternative e originali, una sorta di insight caratterizzato
da flessibilità, fluidità, originalità di elaborazione.
Il
movimento in Natura diviene un linguaggio olistico ed evolutivo che favorisce
multiple intelligenze promuovendo empatia, socializzazione, motivazione di sé e
senso di autoefficacia inteso come credenza nei confronti delle proprie
capacità di regolare il comportamento ed intervenire nei confronti della scelta
dei propri obiettivi e delle azioni che possano essere scelte per il loro
raggiungimento.
Se
consideriamo l’ambiente come un «sistema dinamico costituito da un complesso reticolo
di relazioni, interdipendenze, scambi di energia tra realtà naturale e realtà
antropica» (Galeri, 2009, p. 18) allora la place-based
education diviene un’attraente metodologia
finalizzata a connettere i bambini all’ambiente naturale del proprio intorno:
l’apprendimento nel contesto reale della natura della propria comunità consente
ai soggetti di sviluppare legami profondi con il territorio, aumenta il
rendimento scolastico, accresce l'apprezzamento verso il mondo naturale, crea
un maggiore impegno verso la comunità, in ottica di cittadinanza attiva. È
l’intervento didattico posto in essere che facilita, pertanto, la costruzione
del soggetto in termini di adultità: solo garantendo personalizzazione e
libertà i discenti avranno modo di sperimentarsi in attività stimolanti.
In
un contesto di significanti e significazioni così interpretabile e negoziabile,
la Scuola, come suggerito dalle Indicazioni Nazionali deve mirare a favorire
l’esplorazione e la scoperta. Se è vero che la creatività si accende quando c’è
un problema/ostacolo e richiede coraggio, allora l’insegnamento creativo
consiste nel pianificare compiti fuori dal comune attuando una didattica
creativa, permettendo di costruire competenze specifiche mediante lo sviluppo
di un clima cooperativo e incoraggiando lo sforzo, le nuove idee e il gioco. La
Scuola deve favorire il processo di costruzione culturale del caring thinking (Lipman),
“pensiero di alto livello”, composito, critico e creativo.
4. Tecno-logica-mente
attivi
La scuola “attiva” cui aspiriamo, volta alla costituzione di un nuovo cittadino, portata avanti con un progetto umano inteso alla Floridi «per – progetto umano – intendo il genere di società che vorremmo realizzare e in cui vorremmo vivere» (Floridi, 2020, p. 103), è una scuola in movimento, che ponga attenzione alla motricità, alla collaborazione, allo sport e alla salute, una scuola che sia anche “inter-attiva” dove la videoludica diventi alt(r)o strumento di apprendimento.
Affinché i bambini si approccino sin da subito in maniera attiva verso le tecnologie è necessario insegnare loro ad utilizzarle in modo non passivo. Con l’obiettivo di ridurre i comportamenti sedentari e promuovere l’attività fisica nei bambini, Zhang et al. (2016) esaminano alcune caratteristiche dei videogiochi attivi prendendo in considerazione i potenziali benefici associati ad essi. Lo scopo addizionale è quello di offrire un argomento per i professionisti del campo scolastico, suggerendo di integrare i videogiochi attivi nella pratica dell’educazione motoria come mezzo per combattere i comportamenti sedentari e l’obesità utilizzando la teoria dell’autodeterminazione e il modello del valore di aspettativa come quadri teorici. Il parere scientifico generale è concorde sul fatto, ad esempio, che gli exergame siano un'opzione, in più, di attività fisica praticabile per i bambini e per i ragazzi nell’aiutarli a renderli più attivi, favorendo le capacità motorie, le prestazioni cognitive e la salute. Gli exergame sono “strumenti di senso contrario” alla sedentarietà e pur essendo videogame inducono movimento promuovendo sia l'attività fisica, sia miglioramenti in termini di prestazioni cognitive e mentali.
«Sono videogiochi mediamente più
costosi degli altri (perché sovente necessitano di apparecchiature
appositamente studiate), ma il cui risvolto può certamente andare, anche
fisicamente, ben oltre il solo intrattenimento: permettendo una tenuta
cognitivo-corporea assimilabile anche a quella sportiva e comunque una forma
fisica persino invidiabile» (Federici, 2022).
I videogiochi non
possono sostituire la motricità, la pratica sportiva e il gioco all’aperto, ma
sicuramente dovranno integrarsi alla tradizionale programmazione di educazione
fisica, potendo svolgere un ruolo complementare per una Scuola di qualità, che
aiuti a soddisfare le diverse esigenze e preferenze degli studenti al fine di
raggiungere gli obiettivi e le norme nazionali (Valentini
& Pellegrini, 2019, p. 126). Un limite degli exergame,
così come per i serius game (videogiochi
originariamente ed espressamente pensati per formare, educare e istruire che
hanno un diretto, evidente e cospicuo impatto cognitivo), è
rappresentato dal fatto che entrambi a lungo andare, superata la novità,
possono risultare poco accattivanti, negando la loro effettiva riuscita di
videogioco, non arrivando più ad intrigare il pubblico giovanissimo già saturo
di stimoli. L’impiego degli exergame nel
contesto scolastico con possibili scenari operativi, sarà demandato alla
formazione dei docenti nel saperli scegliere e consigliare; con un loro
utilizzo mirato alle caratteristiche degli allievi; dove l’attività
fisica servirà da stimolo per il gioco; per connettere mente e corpo in
maniera diversa, altra. La nostra riflessione vuole indurci a ripensare la
tecnologia con nuove lenti in quanto i videogiochi non sono unilateralmente
subìti dal fruitore, vi sono azioni che vengono compiute dal soggetto, il gamer,
attraverso un “mediatore”, il controller, oggetto esterno che permette
di diventare coregisti del videogioco stesso. Sempre di più c’è la volontà di
trasportare o fondere il controller internamente, o meglio rimuoverlo
affinché l’interazione non sia mediata da dispositivi altri rispetto alle
intenzioni, cambiando ruoli e responsabilità:
«invece
di opporre le macchine agli uomini, invece di metterle le une e gli altri in
concorrenza, mi sembra essenziale pensarli come irriducibilmente complementari,
in altre parole, considerare le macchine come un’occasione per far progredire
gli uomini. Questo nuovo punto di vista implica un profondo cambiamento
nell’organizzazione del lavoro» (Schwartz, 1995, p. 218).
Con Neuralink, E. Musk, ad esempio, sta lavorando per
collegare in modo diretto il cervello a un dispositivo, con sviluppi potenziali
enormi nel campo sanitario. Pensiamo ancora alla Videogame Therapy
definita da Landreth come una relazione
interpersonale dinamica tra un soggetto e un terapeuta esperto che mediante
videogiochi selezionati promuove l’instaurarsi di una relazione sicura mirata
all’esplorazione di Sé fino ad imparare l’interazione con l’altro da Sé e con
il mondo in modo tale da comprendere le dinamiche sociali. Mediante il
videogioco attivo si stimola la memoria di lavoro sita nell’emisfero sinistro, si
aumenta lo sviluppo dell’autoconsapevolezza in quanto si necessita di autocontrollo
che consenta di accettare, misurarsi con le sfide proposte, attivando risorse
creative ed emotive, il Sé creativo, vivere il “Flow” (Csikszentmihalyi)
esperienza ottimale, che non dipende da eventi esterni, ma dalla capacità di
influenzare positivamente il nostro mondo interiore: crearsi da soli
un’attività significativa che comporti un obiettivo da risolvere mediante
concentrazione.
In questa assoluta trasformazione, anche velocissima, emerge l’urgenza di formare educatori e docenti in ottica del lifelong learning per colmare il gap generazionale che li separa dai propri discenti e avvicinare la comunità educativa nel pensare, riflettere, socializzare per una formazione e diffusione della cultura videoludica nell’insegnamento 4.0. Per una formazione di qualità è pertanto fondamentale rimanere aggiornati, anche sulle più recenti ricerche scientifiche e sulla letteratura di riferimento per comprendere, in primis studiando, l’evoluzione/rivoluzione dell’insegnare il videogioco in termini educativi.
5.
Conclusioni
Ribaditi
i benefici del movimento in età scolare e non solo, innegabili, e
dell’apprendimento all’aperto in termini cognitivi, emotivi e fisici, la Scuola
non può evitare di integrare plurime metodologie affiancando l’educazione
motoria alle altre discipline, favorendo un pensiero olistico e non
intermittente. Le costruzioni culturali si creano e negoziano anche nei cambi
di ottica, di paradigma, nel capovolgimento di prospettiva, in quanto flessibilità
e elasticità sono valori aggiunti. ¿Atrevimiento o
locura? (Desigual, 2019): entrambi, tenendo per
mano formazione-educazione e, anche, buon senso.
Motricità
e ludicità dovrebbero essere i motori propulsori del
cambiamento, adattando gli ambienti fisici e mentali delle classi alle modalità
di apprendimento dei discenti, creando spazi accattivanti e motivanti, promuovendo
un’educazione non formale che sappia orientare la curiosità innata e la ricerca
spontanea di movimento e socialità dei bambini: «Perciò il primo approccio a
qualsiasi argomento nelle scuole dovrebbe essere il meno scolastico possibile,
se si vuole risvegliare il pensiero e non insegnare delle parole» (Dewey, 2004,
p. 167).
Una
scuola-comunità-educante che parta dall’alunno e dai suoi interessi, affinché
il processo educativo non sia effimero e avulso dalla realtà socio-culturale ed
affettiva del minore. L’apprendimento significativo e situazionale, cui
aspiriamo, parte dal mondo del discente, da ciò che conosce e gli è caro,
quindi è necessario associare qualsiasi materia con la quotidianità dei vissuti
esperienziali: «occorre partire dal basso […] incontrare
le persone, assumersi delle responsabilità e accompagnare, avere la possibilità
di fornire all’istituente la necessità di interpretare le regole secondo i
nuovi bisogni» (Cocever & Canevaro,
2011, p. 13).
I
professionisti della formazione ed educazione assumono un ruolo mediato di
ponte tra micro e macro contesti al fine di orientare ogni attore sociale
all’adultità, pensandolo però hic et nunc e in inter-azione continua. Siamo
tutti chiamati a spogliarci delle verità e degli assolutismi e ciò «implica la capacità di mettere in comune, di mettere nel cesto molti
modi e costruire insieme il puzzle della Vita» (Malaguti, 2011, p. 6).
Soggetti
in età evolutiva abitati da singolarità che si vogliono confrontare e negoziare
mediante il movimento nello spazio, nel tempo, con il corpo veicolo primario di
conoscenza e di creatrici conquiste squisitamente personali.
Nella
pluralità integrata si alimentano le logiche della contaminazione che
consentono il dialogo reciproco e creativo, mai unidirezionale, apertura e inclusione,
rispetto ed accoglienza di tutti e di ciascuno. Una Scuola che possa
contribuire in maniera significativa, costruttiva con nuove possibilità educative,
formative, didattiche integrate con quelle tradizionali di cui è portatrice
sana. Un rinnovamento, un rinascimento che sappia coniugare passato, presente,
futuro; capire, interpretare, dare risposte a priorità reali di un ecosistema
delicato nel quale crescere in armonia globale. Dove il Maestro potrà fare
davvero la differenza. Anche così si potranno rimuovere povertà educative, consentendo l’emergere
di capacità e talenti. «Tutti sono
diversi: ognuno deve sviluppare al massimo le sue capacità» (Lodi, 1982).
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